Ammazzasette

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I Raccontastorie – Fascicolo 21

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      01 - Ammazzasette
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In una calda mattina d’estate,  un giovane sarto sedeva nella sua bottega, cucendo una camicia accanto alla finestra aperta. Era un sartorello qualunque e la sua vita era una vita qualunque, ma sognava sempre la gloria e l’avventura. «Un giorno», diceva fra sé «farò qualcosa di importante!» Al solo pensiero di una grande impresa, gli venne una gran fame e così si tagliò una grossa fetta di pane e la spalmò con uno spesso strato di marmellata di fragole. Dette un morso alla fetta di pane e l’appoggiò vicino a sé, continuando a cucire. Proprio in quell’istante entrò dalla finestra un nugolo di mosche che puntò direttamente sulla marmellata. «Sciò» gridò il piccolo sarto e, presa in mano la camicia, menò un gran colpo. All’istante sette mosche caddero a terra fulminate!

«Che stranezza!» esclamò il giovane. «Sette in un colpo. Bisogna che la gente lo sappia.» Prese ago e filo e ricamò sulla sua cintura le parole “Sette in un colpo”. «Perfetto!» disse. «Ora è il momento di andare in cerca di fortuna!» Preparò un involto con delle uova sode, pane e formaggio e se ne andò per il mondo. Non era andato molto lontano, quando vide un passerotto impigliato in un cespuglio di rovi. Lo liberò, se lo mise in tasca con garbo e continuò il suo cammino.

Dopo aver camminato di buon passo per qualche ora lungo un tortuoso sentiero di montagna, inciampò all’improvviso nella punta di una scarpa enorme. Guardando in su vide un terrificante gigante che lo fissava furibondo. «Mi sei venuto addosso!» tuonò il gigante. «Piccolo verme, ho proprio voglia di spiaccicarti sotto la scarpa!» «Beh, Gigante, mi dispiace di esserti venuto addosso», disse il sarto. «Ma non avresti dovuto piantare il tuo piedone sul mio cammino.» E si parò davanti all’omone con aria spavalda e con le mani sui fianchi, in modo che quello potesse vedere la scritta sulla sua cintura. «Sette in un colpo!» lesse il gigante. «Non ci credo. Un omuncolo come te! Ma se sei veramente così forte, vediamo se sai fare questo!» Raccolse una grossa pietra e con la sua mano gigantesca la schiacciò fino a farsi scrocchiare le nocche. La pietra si dissolse in polvere, che lui sparse con noncuranza sul terreno. «Ma è facile!» esclamò il sarto, e fece finta di cercare anche lui una pietra. Ma, approfittando di un momento di distrazione del gigante, cavò di tasca un uovo sodo e lo strinse nel pugno. L’uovo si frantumò in mille pezzi. «Puah!» disse il gigante facendo finta di non essere impressionato. «Guarda qua. Scommetto che non ti riesce di lanciare una pietra così lontano.» E, preso un sasso, lo scagliò giù per il pendìo.

«Facile!» rise il piccolo sarto. Ma, vece di prendere una pietra, cavò uccellino di tasca e lo lanciò in aria. Questo frullò in aria…su, sempre più su e scomparve fra i rami di un bosco lontano. Il gigante fischiò pieno di ammirazione, poi invitò il sarto a casa sua per fargli conoscere i giganti suoi fratelli. «Aiutami solo a portare un po’ di legna per il fuoco, vuoi?» gli disse sradicando a mani nude una grossa quercia. «Va bene, Gigante. Tu prendi il tronco e io porterò i rami,» Ma quando il gigante si fu messo il tronco sotto il braccio, il sartorello saltò su un ramo e… lasciò che il gigante portasse tutto il peso fino all’ingresso ella sua umida caverna. «Ora metto giù il tronco», avvisò ‘ gigante. «Bene, e io etto giù i rami» rispose il sarto saltando a terra.

Il gigante e i suoi fratelli offrirono al piccolo ospite un magnifico pranzo e un grande letto per dormire. Ma il materasso era così pieno di protuberanze che al sarto non riusciva di addormentarsi. Perciò si alzò e si addormentò sotto il letto. Allo scoccare della mezzanotte venne svegliato dal suono delle voci dei giganti. «Sette in un colpo! Gliela faremo vedere noi, allo sbruffone!»

E levando in alto i loro bastoni, li scaricarono selvaggiamente sul materasso. Rannicchiato sotto il letto il povero sartino aveva paura perfino di respirare. Poi i giganti se ne andarono e il coraggio gli ritornò. Quando poi sentì che si furono addormentati profondamente, irruppe nella loro stanza, si rizzò davanti a loro in tutta la sua statura e con le mani sui fianchi gridò con quanto fiato aveva: «Così credevate di potermi uccidere, eh? Proprio me, che

ne ho ammazzati sette in un colpo!» I giganti si svegliarono di soprassalto e furono così terrorizzati nel vedere il sarto ancora vivo, che saltarono fuori dai letti e fuggirono dalla caverna — e fino ad oggi nessuno li ha più rivisti. La gente del luogo fu felice di sapere che i giganti se ne erano andati per sempre e la fama del sarto cominciò a diffondersi nel paese. Perfino il Re lesse le prodezze dell’uccisore di giganti. «Se riesce ad ammazzarne sette in un colpo», disse «sarà anche capace di uccidere i due orchi che scorrazzano nella foresta reale. Conducetelo da me e lo nominerò comandante dell’esercito.»

Tre giorni dopo, il piccolo sarto, alla testa dell’esercito del Re, giungeva sul limitare della foresta reale. Si tolse la giacca, si arrotolò le maniche della camicia e volle inoltrarsi da solo nella foresta. I due orchi giacevano profondamente addormentati sotto un albero. Quando il sartino li vide, si riempì le tasche di sassi e si arrampicò sui rami sopra di loro. Poi lasciò cadere il sasso più grosso sul petto dell’orco più grosso. «Perché diavolo mi hai colpito?» grugnì l’orco al suo amico. «Io non ti ho nemmeno sfiorato», sbadigliò l’altro, e si riaddormentò di colpo. Allora il sarto fece cadere un secondo sasso sul secondo orco. «E tu perché mi hai colpito?» brontolò l’altro. «Ma se non ti ho toccato!» Il sarto lanciò un terzo sasso sul primo orco. Con un grido furibondo l’orco si alzò e, afferrando l’amico, tirò in piedi anche lui. «Questa è la seconda volta che mi colpisci, bue senza cervello!» «Io non ti ho colpito», strillò l’altro, «Sì che l’hai fatto», ruggì il primo. E sbraitavano e strepitavano, infuriati, agitando le braccia come pale da mulino.

Poi uno di loro sradicò un albero per usarlo a mo’ di clava, e l’altro l’acchiappò per la vita e lo scaraventò per terra. Lontano, fermi sul limitare della foresta reale, i soldati che udivano quel terribile fracasso e le urla furibonde, tremavano al pensiero della sorte del giovane. Al crepuscolo, tutto fu silenzio nella foresta e nel silenzio si udì

squillare una voce argentina: «Potete avvicinarvi ora, uomini. L’ho fatta finita con questi rammolliti!» Quando i soldati lo raggiunsero, lo trovarono trionfante con un piede ben piantato su ciascuno dei due orchi! La fama dell’ardito sartino dilagò come un incendio. Ma quando il Re ne venne a conoscenza, cominciò a temere quell’uccisore di giganti. «Che succederebbe se gli venisse in mente di pretendere la mia corona?» pensò. «Nessuno potrebbe fermarlo.» E decise di inviare il sarto a morte sicura. «Voglio che tu catturi il feroce unicorno che ha ucciso così tanti miei soldati. E._ se riuscirai a catturarlo vivo, ti darò la metà del mio regno e la mano di mia figlia.» «D’accordo, maestà!» rispose con baldanza il sarto e, presa un’ascia e un rotolo di corda, se ne andò da solo a caccia dell’unicorno. All’imbrunire arrivò al bosco

dove l’animale viveva e si inoltrò silenziosamente nella macchia. Per un po’ non vide niente, ma poi udì un minaccioso scalpitare di zoccoli. All’improvviso, da dietro un masso, apparve l’unicorno! Con un feroce nitrito, l’indiavolato animale abbassò la testa e si preparò a caricare. Si avvicinava sempre più, a un vertiginoso galoppo, e il suo lungo e aguzzo corno ritorto scintillava ai raggi del sole morente. Proprio all’ultimo istante, il piccolo sarto balzò di lato, e l’unicorno andò a sbattere dritto dritto contro un’enorme quercia, rimanendo con il corno incastrato nel tronco. L’animale lottò per un’ora, nel tentativo di liberarsi, poi si arrese. Allora il sarto, disincastrato il corno dal legno, gli legò la corda intorno al collo e lo condusse tranquillamente a palazzo. È difficile dire se quello che terrorizzò di più il Re fu la vista dell’ardito sartino — sano e salvo —

o quella del feroce unicorno, legato pacificamente nel cortile. Ma doveva mantenere la sua promessa. Il Re, dunque, consegnò la metà del suo regno al giovane sarto, e gli diede in sposa sua figlia. In sette anni ebbero sette figli e quando il vecchio Re morì, l’ardito sartorello regnò sul paese per il resto dei suoi giorni, in pace e senza noie.