Pinocchio, il campo dei miracoli

Pinocchio, il campo dei miracoli

I Raccontastorie – Fascicolo 13

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      04 - Pinocchio 3 parte
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Cammina, cammina, sul far della sera Pinocchio, il Gatto e la Volpe arrivarono stanchi morti all’Osteria del Gambero Rosso. Si rifocillarono tutti e tre e andarono a fare un sonnellino, pregando l’oste di svegliarli a mezzanotte per continuare il loro viaggio. Pinocchio fu svegliato dall’oste mentre sognava un campo pieno di zecchini d’oro tintinnanti, «I vostri amici sono partiti due ore fa, chiamati per un impegno urgente; vi han lasciato l’onore di pagare la cena e vi aspettano domattina al Campo dei Miracoli.» Pinocchio pagò e ripartì. Camminava a tentoni, perché fuori c’era un buio pesto. Alcuni uccellacci notturni vennero a sbattergli contro. Pinocchio sobbalzò: «Chi va là?» «Chi va là? Chi va là?» ripeteva l’eco delle colline. Fatti alcuni passi tremanti, Pinocchio udì una vocina: «Sono l’ombra del Grillo Parlante: torna indietro, ascolta

il mio consiglio: portagli zecchini al tuo povero babbo, che si dispera per te.» «Domani il mio babbo sarà ricco: avrà duemila zecchini.» «Non ti fidare di certe promesse: l’ora è tarda!» «Voglio andare avanti.» «La notte è scura….» «Voglio andare avanti.» Pinocchio proseguì, incurante di quei preziosi consigli.

A un tratto si mise a correre perché gli parve di sentire un fruscio alle sue spalle. Nel buio lo inseguivano due figure nere imbacuccate in due sacchi da carbone. «O la borsa o la vita!» gridò la figura più alta. «.., o la vitaa!» fece eco l’altra. Pinocchio fece appena in tempo a nascondere le monete sotto la lingua, che si sentì agguantare per le braccia. Non potendo parlare, il burattino cercò di far capire a gesti che non aveva un soldo. «Fuori i denari o sei morto!» «… mortoo!»

dopo di te, ammazzeremo anche tuo padre!» «… tuo padree!» «No, no, il mio povero babbo Nel gridare così, gli zecchini gli tintinnarono in bocca. I due furfanti cercarono inutilmente di aprirgli la bocca con un coltello. Pinocchio, lesto come un lampo, azzannò la mano di uno di loro e fuggì via a perdifiato. E gli assassini dietro, Dopo un lungo inseguimento, Pinocchio, vistosi perso, si arrampicò su di un pino. Gli assassini tentarono di arrampicarsi anche loro, ma giunti a metà, ruzzolarono giù di nuovo. Non per questo si dettero per vinti, Poco dopo, infatti, diedero fuoco all’albero. Pinocchio spiccò un bel salto e via a correre di nuovo tra campi e vigneti. E gli assassini sempre dietro, senza stancarsi. Il burattino stava perdendosi d’animo, quando vide tra gli alberi biancheggiare una casina candida come la neve. Allora riprese la corsa e, dopo un po’, giunse

trafelato davanti alla soglia della casina e bussò. Nessuno rispose. Bussò e chiamò e bussò ancora, e finalmente apparve alla finestra una fanciulla dai capelli turchini. ‘>>1 «Aprimi, per carità: sono inseguito dagli assass…» Ma non poté finire la parola perché si sentì afferrare per il collo: «Vuoi aprirla la bocca, sì o no?» «… sì o no?» «Lascia fare, che questa volta te la faremo aprir noi!» «… aprir noii!» E il povero Pinocchio finì addirittura impiccato a una grossa quercia. I due assassini però aspettarono invano che esalasse l’ultimo respiro: il burattino dopo tre ore aveva ancora gli occhi aperti e la bocca chiusa.

«Torniamo domani, speriamo che ci farai la cortesia di farti trovare bell’e morto e colla bocca spalancata.» «… spalancataa!» E se ne andarono. Le ore passavano e il povero Pinocchio penzolava ancora dalla quercia, più morto che vivo. Fu allora che la fanciulla dai capelli turchini, che altri non era che una buonissima fata, s’affacciò ancora alla finestra e batté per tre volte le mani. Si udì uno sbattere d’ali e subito un grosso falco si posò sul davanzale «Cosa comandate, mia graziosa Fata?» «Rompi col becco la corda che regge quel burattino, poi posalo delicatamente sull’erba.» Il falco volò via e tornò dopo poco. «Ho fatto quel che m’avete ordinato.» «E come l’hai trovato: vivo o morto?» «Morto a vedersi, vivo a sentirsi. Appena sciolto il nodo ha detto di star meglio.» «Qui ci vuole un consulto: chiamate il Corvo, la Civetta e il Grillo Parlante che sono dottori eminenti.» E così, i tre dottori, al capezzale di Pinocchio, espressero il loro parere: «Secondo me, è morto abbastanza», disse la Civetta. «Per me, invece» disse il Corvo,

«dovrebbe morire ancora un po’.» «Mmmm…» fece il Grillo Parlante, «io quel burattino lo conosco: è una birba matricolata!» A quelle parole, Pinocchio si mosse. «Ha piantato in asso il suo povero babbo…» Pinocchio si mosse ancora, poi scoppiò in singhiozzi. «Il morto è in via di guarigione.» «O forse gli dispiace morire.» Appena usciti i medici, la Fata dai capelli turchini tentò invano di far prendere una sua medicina a Pinocchio. «È troppo amara! Non la voglio bere. No! No! No!» Fu tanto cocciuto che la Fata, persa

la pazienza, fece entrare quattro conigli neri con una bara sulle spalle. «Siamo venuti a prenderti!» disse il coniglio più grosso. «Oh, Fata mia, spicciati, per carità… dammi subito quel bicchiere, perché non voglio morire!» Pinocchio prese il bicchiere e bevve tutto d’un fiato. «Pazienza,» dissero i conigli, «abbiamo fatto un viaggio a vuoto!» Pinocchio guarì in un baleno e tornò di nuovo vispo e scattante come un galletto. La Fata lo chiamò: «Vieni qui Pinocchio, raccontami cosa ti è successo.» «Dunque… il burattinaio Mangiafuoco mi regalò cinque monete d’oro per il babbo. Mentre tornavo a casa incontrai il Gatto e la Volpe, due persone perbene, che mi dissero…» Pinocchio raccontò in modo abbastanza confuso tutte le sue avventure. «E le monete d’oro dove le hai messe?» «Le ho perdute» rispose Pinocchio che invece le aveva in tasca. Appena detta la bugia, il suo naso si allungò. «E dove le hai perdute?»

«Nel bosco qui vicino.» Il naso di Pinocchio seguitò a crescere. «Se è così, dirò ai miei amici uccelli di cercarle: prima o poi le troveranno.» «Ah» fece Pinocchio confuso, «ora ricordo: non ho perso le monete, le ho inghiottite senza accorgermene mentre bevevo la medicina.» A questa terza bugia il naso gli si allungò così tanto, che il povero Pinocchio non poteva più girarsi da nessuna parte. La Fata lo guardava e rideva. «Le bugie, ragazzo mio, si riconoscono subito: vi sono quelle colle gambe corte e quelle col naso lungo; le tue, come vedi, sono di quelle col naso lungo.» La Fata, per castigo, lasciò il burattino ancora un po’ in quello stato, poi, vedendolo disperato e pentito, fece entrare dalla finestra migliaia di picchi.

Questi uccelli beccarono quel nasone spropositato a gran velocità fino a ridurlo alla sua grandezza naturale. Pinocchio baciò riconoscente la fata, che gli fece mille raccomandazioni, quando lui volle riprendere la strada di casa. Cammina, cammina, a un tratto, apparvero sulla strada del bosco… indovinate chi? Il Gatto e la Volpe! «Caro Pinocchio! Come mai sei qui?» «… Come mai sei quiii?» «È una storia lunga… l’altra notte gli assassini volevano rubarmi le mie monete.» «Oh, povero amico!» «.., povero amic000!» Pinocchio si accorse che il Gatto zoppicava. «Cos’hai fatto alla zampa?» «Oh… ehm… nullaaa…» «Fa il modesto lui! Figurati che l’ha data da mangiare a un povero vecchio lupo affamato.» «Se tutti i gatti fossero come te, fortunati i topi!» disse Pinocchio. «Senti, perchè non semini le tue monete d’oro nel Campo dei Miracoli?

Domani sarebbero duemila!» «… duemila!» «Be’, oggi è impossibile… devo andare dal mio babbo.» «Su, non vorrai perdere quest’occasione? Vieni con noi!» «… Vieni con noiii!» Pinocchio esitò: pensava alla Fata, a Geppetto, al Grillo Parlante… Alla fine prevalse la sua sventatezza. «Andiamo pure, vengo con voi!» Cammina, cammina, arrivarono a un paese chiamato Acchiappa-citrulli, pieno di accattoni e vecchi malandati. «Il Campo dei Miracoli è qui a due passi!» «… a due passiii!» Appena fuori dalle mura, si fermarono in un campo solitario. «Eccoci qui: ora scava una buca e mettici le tue monete d’oro.» «… d’orooo!» «Bravo, così: ricoprila e innaffiala per bene. Ora possiamo andar via. Tra mezz’ora, troverai una pianta piena di monete d’oro; sarai ricco sfondato. Arrivederci!» «… Arrivederciii!» Il burattino ringraziò mille volte il Gatto e la Volpe e se ne andò in paese, aspettando l’ora di tornare al Campo dei Miracoli.

Dopo aver sognato di diventare un gran signore, di avere un bel palazzo, mille cavalli e una cantina piena di rosolio, di canditi e di torte, Pinocchio, col cuore che gli batteva forte, ritornò tutto tremante al Campo dei Miracoli. Con sua gran sorpresa lo trovò deserto. Di piante d’oro nemmeno l’ombra. Fece qualche passo e si chinò dove aveva sotterrato le monete. Fr affannosamente con le mani, ma non trovò nulla. Nulla di nulla.

Pinocchio, preso dalla disperazione, tornò di corsa in paese per denunciare subito il furto. In tribunale, lo accolse un giudice colla parrucca bianca, che lo ascoltò con molta benignità: s’intenerì e si commosse al racconto, tanto che gli si appannarono gli occhialini. Poi allungò una mano e suonò il campanello: comparvero subito due cani mastini vestiti da gendarmi.

In quel mentre udì fischiare negli orecchi una gran risata. Alzò lo sguardo e vide sopra un albero un grosso pappagallo che si sbellicava dalle risa. «Cos’hai da ridere?» chiese Pinocchio stizzito. «Rido di quei citrulli che credono che i denari si possano seminare come le zucche.» «Parli forse di me?» «Proprio di te, povero Pinocchio. Sappi che durante la tua assenza, il G. e la Volpe son tornati, si son presi le monete d’oro e son fuggiti come il vento.»

«Questo povero diavolo è stato derubato: pigliatelo dunque e mettetelo subito in prigione!» Il burattino, sentendosi dare questa sentenza tra capo e collo, rimase di stucco e voleva protestare: ma i gendarmi, a scanso di perditempi inutili, fi gli tapparono la bocca e lo condussero in gattabuia. (Nel prossimo numero Pinocchio va alla ricerca di Geppetto)

 

 

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