Sindbad e le isole fantastiche

Sindbad e le isole fantastiche

I Raccontastorie – Fascicolo 19

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      03 - Simbad e le isole fantastiche
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Io sono Sindbad, il mercante di Bagdad. I Forse vi ricorderete di me. I miei viaggi mi han portato sempre in mezzo ai pericoli. Ma… vi ho mai raccontato di quella volta che ci siamo ancorati vicino… No, non credo di averlo mai fatto. Dunque, comincerò dall’inizio. Dopo le mie avventure nella Valle dei Diamanti, ero diventato così ricco che pensavo che non mi sarei più mosso da Bagdad. Ma presto cominciai a sentire nostalgia del mare, e decisi quindi di imbarcarmi su una nave straniera in cerca di avventure. La nave era piccola e il sole scottava e dopo qualche tempo la ciurma si stancò e divenne irritabile. Perciò quando la vedetta avvistò un’isoletta all’orizzonte,
lanciammo tutti delle grida di giubilo e ci affacciammo per guardarla. «Non è segnata su nessuna delle mie mappe», disse preoccupato il capitano. «Non fa niente», risposi io. «Se non altro possiamo scendere a terra a sgranchirci un po’ le gambe.» Così, il capitano guidò la nave verso l’isolotto che, sotto il riverbero del sole, sembrava quasi che si muovesse. Le sue coste ripide erano grigie, ma, all’interno, si vedevano delle collinette verdi e invitanti, cori stormi di uccelli che ci volavano sopra in circolo. «Possiamo portare a terra un barile di birra, capitano?» chiese un marinaio. Il capitano acconsenti e gettammo l’ancora vicino all’isola. Tutti, meno il capitano, scendemmo a terra e ci apprestammo ad accendere un fuoco. Infilammo della carne su uno spiedo e la mettemmo ad arrostire. Siccome io sono un mussulmano osservante e non faccio uso di alcolici, lasciai i marinai a bere la loro birra e me ne andai a passeggiare lungo la spiaggia.

Rimasi sorpreso nel constatare che sotto i miei piedi non c’era sabbia, ma un terreno liscio e duro; ovunque si sentiva un forte odore di pesce. All’improvviso, gli uccelli che stavano appollaiati su mucchi di alghe verdastre e di conchiglie si alzarono in volo stridendo. Tutta l’isola tremò come per un improvviso terremoto e io venni scaraventato per terra;La voce del capitano ci giunse sovrastando – lo stridìo dei gabbiani. «Una balena! Una balena enorme! Salite a bordo!» Guardai il mare, ma non vidi ombra di balene. Il capitano stava per salpare e i marinai, gridando e bestemmiando, corsero verso la nave. Aveva davvero l’intenzione di abbandonarci su questo isolotto grigiastro? A un tratto, da un grosso buco accanto ai miei piedi scaturì, con un rumore assordante, un enorme getto d’acqua che mi bagnò fino alle ossa. Il capitano stava gridando qualcosa, ma io lo udivo appena, assordato dal fragore dell’acqua.

«Devo salpare… Balena! … svegliato la balena!» In quel terribile istante, mi resi conto della verità. Non eravamo su un’isola, ma sul dorso di una gigantesca balena! Una balena che dormiva tranquillamente nel vasto oceano, lasciando che sulla sua schiena si accumulassero crostacei e alghe, portate dalle correnti dei mari. Ma il fuoco acceso dai marinai le aveva bruciacchiato la schiena, e la balena si era risvegliata furibonda. E proprio io, Sindbad, mi trovavo sulla sua testa mentre lei buttava fuori aria dal suo enorme sfiatatoio. Mi sentii agghiacciare quando la bestia sollevò la sua

possente coda e schiaffeggiò l’acqua trasformandola in bianca schiuma. Stava per immergersi! Alcuni marinai riuscirono ad arrivare alla nave a nuoto; altri, trascinati dalla corrente, perirono in fondo al mare. E io? Stavo dibattendomi nell’acqua e raccomandandomi l’anima, quando vidi galleggiare vicino a me il barile di birra vuoto, e mi ci aggrappai con tutte le mie forze. Esausto, rimasi a galleggiare sul mare — gridando aiuto — sbatacchiato dalle onde impietose. Ma la nave era salpata già da molto e io andavo alla deriva, solo, lontano da casa centinaia di miglia. Per tutta la notte i pesci mi mordicchiarono i piedi, che penzolavano dal barile. Poi, allo spuntare del giorno, si profilò all’orizzonte un’isoletta simile a una nuvola verde. La sua vista mi rallegrò il cuore e, con uno sforzo, mi ci diressi remando con le mani.


Quando arrivai vicino alla riva, il cuore mi balzò in petto per lo stupore e il terrore. «Ho trovato la mia fortuna oppure 1a morte», esclamai «perché questa è la Terra dei Serpenti Marini, dove la sabbia è polvere d’oro, ma è custodita da mostruosi serpenti che divorano i marinai!» Il mio barile toccò la spiaggia e io capitombolai fuori. Da una cascata nascosta fra alberi e cespugli, scorrevano freschi rivoletti di acqua dolce, trascinando nella corrente frutti maturi: .susine, pesche e bacche profumate. Ringraziando il Cielo per questo ben di Dio, calmai la mia sete e saziai la mia fame. Solo allora mi resi veramente conto delle grandi ricchezze che mi circondavano. Le dune, costituite da cumuli di polvere d’oro, ricoprivano la spiaggia da un lato all’altro. «Mi costruirò una zattera» pensai «e porterò tutto quel che posso a Bagdad.» Non mi ci volle molto per raccogliere abbastanza legname da costruire una piccola zattera, che legai insieme con delle robuste strisce di stoffa ricavate dal mio turbante. Riempii il barile di frutta per nutrirmi durante il lungo viaggio, lo caricai sulla zattera e poi cominciai a ficcare manciate di polvere d’oro nei miei ampi pantaloni, finché non potei quasi più muovere le gambe. Fu allora che udii un sibilo acuto. Guardai in alto e vidi che le cime degli alberi vicino alla spiaggia ondeggiavano. Una grossa testa rigida e lucida sovrastò gli alberi più alti, e un paio d’occhi scintillanti mi fissarono immobili.

Poi… sei, sette, otto enormi serpenti scivolarono verso la spiaggia, facendo dardeggiare le loro lingue biforcute. Terrorizzato, mi gettai sulla zattera remando furiosamente verso il mare aperto, ma i serpenti mi seguirono oltre la riva! I loro corpi squamosi e iridescenti mi accerchiarono più e più volte. Poi le loro mascelle scattarono, sbriciolando la zattera in tanti frammenti di legno, mentre il veleno stillava dalle loro orride zanne. Disperato, vuotai il barile di frutta e mi ci rifugiai come un pulcino nell’uovo. I serpenti mordevano, sputavano e sibilavano, continuando a nuotarmi intorno, mentre il barile girava come una trottola. Uno dei serpenti riuscì perfino ad addentarlo. Ma era troppo largo e non riuscì a inghiottirlo. Il mostro lo risputò e si allontanò sibilando furiosamente. Uno alla volta tutti i serpenti tentarono di azzannarmi, ma non riuscirono a scalfire il barile. E così alla fine desistettero e strisciarono via sul fondo sabbioso, raggiungendo le spiagge della Terra dei Serpenti Marini. La marea mi riportò in alto mare, dove andai alla deriva per tre giorni e tre notti. Poi — il quarto giorno — mentre stavo
sonnecchiando ormai privo di forze, il barile urtò contro la fiancata di una nave e udii una voce nota sopra di me. Era la mia nave! Il capitano era ancora alla ricerca di qualche sopravvissuto, dopo l’avventura con la balena. Rimase stupefatto nel vedermi spuntare dal barile di birra, e più stupefatto ancora scoprendomi ricoperto d’oro. E ancora oggi io mi stupisco di trovarmi di nuovo sano e salvo qui a Bagdad… e più ricco di prima!

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