Il Natale di Re Giovanni

Il Natale di Re Giovanni

I Raccontastorie – Le più belle storie di Natale 1983

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      05 Il Natale di Re Giovanni
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Re Giovanni era un uomo così così, IN con i suoi modi da persona sola si muoveva da qui a lì e nessuno gli rivolgeva la parola. Nelle sue brevi passeggiate in città, camminando di qua e di là, la gente lo guardava accigliata alzando in aria il naso sdegnata. Re Giovanni, il Re imbambolato in persona, arrossiva fin sotto la corona.
Re Giovanni era un uomo così così, e nessuno di lui si sognava; ogni pomeriggio se ne stava lì, all’ora del tè, solo solo, aspettava. Aspettava gli auguri, tanti bei cartoncini aspettava con trepido affanno, ma non aveva parenti, lontani o vicini, che gli augurassero Buon Natale o Buon Anno. Sulla mensola c’era il suo unico successo: un solo augurio proveniente da se stesso. Così così era fatto Re Giovanni, un po’ sperava, un po’ temeva e da anni, anni e anni nessun regalo riceveva. Ma ogni anno, nelle feste natalizie, quando i menestrelli raccoglievano i doni per le speranze, per le delizie delle loro dolci canzoni, lui sulla scala saliva con rara baldanza e appendeva una calza piena di speranza.
Re Giovanni era un uomo così così. Visse la sua vita arcigno e riservato. Un messaggio pensò lì per lì, mentre arrancava sul tetto affannato; lo scrisse e lo spedì nella canna del camino: “A ognuno, a ciascuno, lontano e vicino, a Babbo Natale in particolare”. Non firmò col suo spettacolare “Sua Maestà Re Giovanni” ma molto umilmente “tuo Gianni”.
«Voglio tenere gallette, voglio qualche buon candito, il cioccolato in tavolette è delizioso e squisito. Le arance le detesto cordialmente, non mi piacciono le nocciole; per me assolutamente ci vuole un coltellino da tasca ben tagliente. E, oh, Babbo Natale, se davvero bene mi vuoi tu, portami una grande palla rossa di caucciù!»

Re Giovanni era un uomo così così. Appena spedito il messaggio tanto ambito, si calò dalla grondaia e giù da lì nella sua stanza piombò stordito. E stette sveglio per tutta la nottata, in preda a speranze e timori, (e l’ansia gli corrugò la fronte tormentata). «È lui» pensò «che sta arrivando là fuori: porta un dono per la mia gioia e i miei affanni, il primo che abbia mai ricevuto da anni!»
«Dimentica le tenere gallette, anche i canditi li puoi scordare, il cioccolato in tavolette un’altra volta potrò assaggiare. Ho sempre odiato le arance e le nocciole, ho già un coltellino un po’ spuntato che taglia quando vuole. Ma, oh, Babbo Natale, se davvero bene mi vuoi tu, portami una grande palla rossa di caucciù!»
Re Giovanni era un uomo così così… All’alba sorse il sole del nuovo dì, a dire a tutto il mondo che aspettava che il giorno di Natale finalmente iniziava. La gente gioiosa afferrava i doni, gallette e giocattoli apparivano, per bimbi, adulti, cattivi e buoni; suoni e rumori festosi s’udivano e le tasche di dolci s’imbottivano. Re Giovanni disse torvo: «Ahimé, di nuovo non c’è niente per me!» «Babbo Natale, volevo le gallette e qualche buon candito, e il cioccolato a tavolette sarebbe stato ben gradito. Ma fin le arance andavano a pennello e le nocciole, se le avevi in mente, pazienza anche per il coltello anche se il mio non taglia per niente. Ma, Babbo Natale, non mi vuoi proprio bene tu, non m’hai portato nemmeno la palla di caucciù!»
Re Giovanni stava un po’ così così, dalla finestra guardava greve tanti bambini che giocavano felici e si tiravano le palle di neve. Era un pezzo ormai che li osservava e che, senza vergogna, li invidiava, quando dalla regale finestra entrò a razzo e gli sfiorò lo testa — e rimbalzò e rotolò laggiù —una grande palla rossa di caucciù.
«OH, CARO BABBO NATALE, GRAZIE MILLE PER LA PALLA ROSSA DI CAUCCIÙ. ORA SO CHE BENE MI VUOI TU NON SARÒ PIÙ COSÌ COSÌ, MA FARÒ FAVILLE.»

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