Cenerentola

Cenerentola

I Raccontastorie – Fascicolo 14

Ascolta l’audiocassetta!

      07- Cenerentola
Pag.1Pag.2Pag.3Pag.4Pag.5Pag.6Pag.7

C’era una volta una bella fanciulla che era rimasta sola al mondo. La sua mamma e il suo babbo erano morti e l’unico luogo dove potesse stare era la casa della sua matrigna, una donna superba, altera e ambiziosa: era sempre vestita all’ultima moda e si faceva venire i cappelli solo da Parigi. Non bastavano tutta la seta, i velluti e i broccati del mondo per accontentare lei e le sue figlie: Berta e Gertrude. La loro madre continuava a dir loro che erano belle come due fiori, ed esse le credevano. Ma come potevano non notare i capelli dorati della loro sorellastra, la sua pelle morbida, lo splendore del suo sorriso e la grazia delle sue mani e dei suoi piccoli piedi?
La gelosia rendeva le due sorellastre sgarbate e crudeli; per vendicarsi la costringevano a fare tutti i lavori di casa. E la poverina passava le giornate a strofinare pentole e tegami, a lavare i pavimenti e a spazzare la cenere del camino. Per questo in casa la chiamavano “Cenerentola”. «Porta il carbone, Cenerentola!» «Lucidami le scarpe, Cenerentola!» «Pigra! Cialtrona! Stupida di una Cenerentola!» Alla fine della giornata Cenerentola era così stanca che non poteva fare altro che accoccolarsi in un angolo del camino e piangere tutte le sue lacrime, prima di addormentarsi sfinita.

Una mattina il postino consegnò una lettera sigillata con la ceralacca. Dentro c’erano quattro inviti per un ballo a palazzo: il Principe cercava moglie fra le più belle fanciulle del paese. Una ventata di eccitazione pervase la casa. Berta, Gertrude e la matrigna di Cenerentola cominciarono immediatamente a scegliere vestiti e gioielli. Non parlavano d’altro. «Incipria la mia parrucca castana, Cenerentola!»
«Cuci questi lustrini, Cenerentola!» «Stira questa trina, Cenerentola! E non bruciarla, stupida!» Cenerentola sopportava volentieri tutto questo lavoro straordinario. Aveva sempre desiderato tanto vedere l’interno del bel palazzo sulla collina e ora stava per riuscirci! «E io cosa mi metterò?» chiese timidamente. Tre facce strabiliate la fissarono. «Tu?» esclamò la matrigna. «Non crederai mica di venire anche tu, vero?» Berta rise forte. «Ma guarda questa stracciona vanitosa. E chi ti guarderebbe?» «Non la lascerebbero nemmeno entrare a palazzo una sudicia vagabonda come te» sghignazzò Gertrude. «Ma l’invito…» «Da palazzo devono averne mandati quattro per sbaglio» tagliò corto la matrigna e afferrando il prezioso cartoncino dorato lo strappò in mille pezzi gettandoli ai piedi di Cenerentola. «E ora spazzali» rise, «poi pettinami la parrucca.» Finalmente il giorno del ballo arrivò.

La matrigna si incipriò tanto il naso a patata che finì per assomigliare a una meringa. Gertrude si gonfiò tanto i capelli che alla fine sembrarono una matassa di zucchero filato; Berta si infilò dentro a un abito di broccato color pulce e tutt’e tre si pigiarono nella migliore carrozza della città. Quando le loro voci sguaiate si persero
in lontananza, Cenerentola chiuse la porta e non poté trattenere le lacrime che cadevano sfrigolando sulle ceneri calde del camino. A un tratto tutte le candele presero a tremolare. Ondeggiante fra il soffitto e le scale comparve una fata dai capelli bianchi in uno scintillante abito d’argento. «Perché piangi, Cenerentola?». Cenerentola si portò le mani al viso, stupefatta. «Oh la prego, non pensi male di me, ma.., ci tenevo tanto anch’io a questo ballo!» «E allora ci andrai. Io sono la tua fata madrina e ti aiuterò. Ma non abbiamo molto tempo. Corri a prendere quattro topini in cantina e portameli in giardino.» Troppo stupita per discutere, Cenerentola fece come le era stato detto. Una volta in giardino la fata chiese a Cenerentola di portarle due lucertole e una zucca. Cenerentola mise tutto per terra accanto alla fata che agitò tre volte la sua bacchetta magica.

Si levò uno sfolgorante pulviscolo di stelle e in un batter di ciglia gli animaletti e la zucca vennero trasformati in un cocchio d’argento foderato di velluto rosso, tirato da quattro cavalli grigi pomellati. Due valletti in parrucca bianca aspettavano solo che Cenerentola salisse. «Ma come faccio ad andare alla festa con questi stracci addosso?» chiese la ragazza. La fata madrina ridacchiò. «Oh, che sbadata! Me n’ero dimenticata!» E con la bacchetta magica a punta di stella toccò lievemente Cenerentola sulla spalla, e per magia gli stracci si trasformarono in un vestito color dell’oro guarnito di trine d’argento. Infine i suoi minuscoli piedini vennero calzati da un paio di scarpine di cristallo. «Ti auguro una serata meravigliosa, bambina mia» disse la fata madrina baciandola su una guancia. «Ma ricordati di lasciare il palazzo prima delle dodici perché allo scoccare della mezzanotte la mia magia svanirà.» E toccandosi la testa con la mano, la fata madrina scomparve… ma un attimo dopo era già di ritorno. «Che stupida sono. Mi ero dimenticata di questo.» E le tese un elegante cartoncino dorato: un invito per il ballo. Cenerentola arrivò a palazzo che la festa era già cominciata da un pezzo. Ma quando lei cominciò a salire la bianca scalinata di marmo, le coppie smisero di ballare, l’orchestra smise di suonare

e tutti rimasero incantati ad ammirare la straordinaria bellezza della nuova venuta. Il Principe corse verso di lei chiedendole l’onore del primo ballo. Chiese anche il secondo. E in realtà per il resto della serata non danzò più con nessun’altra. Le signore bisbigliavano dietro i loro ventagli: «Credo che il Principe si sia innamorato a prima vista.» «Ma lei, chi è?» «Dev’essere una principessa straniera,» Berta e Gertrude immusonite si erano rincantucciate in un angolo, «Ma chi è quella, dopotutto? Non è giusto. Il Principe dovrebbe ballare anche con qualcun’altra.» Volteggiando a suon di musica, stretta tra le braccia del Principe, Cenerentola aveva completamente dimenticato la sua vita infelice di prima. Dimenticò i pavimenti da strofinare, i caminetti da pulire, i bei vestiti delle sorellastre da stirare mentre i suoi — di vestiti —cadevano a pezzi. Non si ricordava più che il suo bel vestito era fatto di polvere fatata.,. E dimenticò l’avvertimento della fata madrina! L’orologio cominciò a battere la mezzanotte. «Devo andarmene!» gridò spaventata. «Ma è ancora presto!» supplicò il Principe mentre lei si precipitava giù 2 per la scalinata. La pendola batté p il terzo colpo. «Non conosco nemmeno il tuo nome!» gridò mentre lei correva fuori dal palazzo. La pendola batté il sesto colpo. «Io ti amo!» confessò il Principe aiutandola a salire in carrozza. L’orologio batté il nono colpo mentra la carrozza correva nella notte portandosi via Cenerentola. L’orologio batteva il dodicesimo colpo, quando il Principe, chinando il capo sconsolato, vide brillare sui gradini del palazzo una scarpetta di cristallo.

Intanto, Cenerentola, stanca e scalza, entrava barcollando in cucina e cadeva addormentata accanto al fuoco. Sulla via del ritorno, quando era ancora a metà strada, la carrozza era ridiventata una zucca e i topi e le lucertole erano scivolati via in un fosso, mentre Cenerentola aveva dovuto proseguire a piedi. Ore dopo, le sorellastre e la matrigna arrivarono a casa svegliandola con le loro voci litigiose. «È tutta colpa di Cenerentola» si lagnava Berta. «Se avesse stirato il mio vestito a dovere, il Principe si sarebbe innamorato di me.» «Se mi avesse stretto meglio il busto, il Principe si sarebbe innamorato di me» piagnucolò Gertrude «e mi avrebbe sposata.» «Potrebbe ancora accadere!» le rincuorò la madre. «La principessa è sparita, no?»
Ma il Principe si era messo in testa di sposare la fanciulla a cui apparteneva la scarpetta di cristallo. «È così minuscola! Solo lei ha un piedino tanto delicato da entrare in questa scarpina» disse a sua madre. Così il giorno seguente la Regina fece affiggere un proclama: «Il Principe sposerà la ragazza che riuscirà a calzare questa scarpetta.» Immaginate che trambusto si scatenò in città quando le fanciulle in età da marito appresero la notizia. «E mio, finalmente!» sospirò Berta. «I miei piedini sono così delicati!» «Ma se sembrano le zampe di una papera!» strillò Gertrude. «Io, riuscirò a calzare quella scarpina, fosse l’ultima cosa che farò in vita mia!» La madre rimase in silenzio. Si stava agghindando davanti allo specchio e pensava che sulla sua testa una corona ci sarebbe stata proprio bene. Si udì battere alla porta. Era il paggio del Principe che portava la scarpetta su un cuscino di velluto rosso. Berta lo spinse in casa: «A me! A me! Fammi provare!» «Prima io!» protestò Gertrude. <Se non vi dispiace!» si impose la madre spingendole da una parte, «proverò io, per prima.» Ma sebbene spingessero e strizzassero e cercassero

di rimpicciolire le loro dita, nessuna di loro poté calzare la scarpetta di vetro. «Non c’è nessun altro, in casa?» chiese il paggio del Re. «Nessuno» dissero in coro tutt’e tre. Il paggio lanciò uno sguardo incerto a Cenerentola che se ne stava vicino al fuoco. «Chi, lei? Ma lei è proprio nessuno, è solo una sguattera.» «Il proclama dice che ogni donna del paese deve provare la scarpetta», disse il paggio e si inginocchiò davanti a Cenerentola. Il suo piedino minuscolo entrò perfettamente nella scarpina di vetro. In quel mentre il paggio si volse verso la porta, si tolse il cappello con deferenza e fece un profondo inchino. Sulla soglia era apparso il Principe. «L’ho trovata, vostra Altezza» annunciò il paggio.
«Non è giusto!» annaspò Gertrude. «Si tratta di uno sbaglio!» gridò Berta. «Ma se non è nemmeno andata al ballo!» strepitò la madre. Cenerentola sorrideva al Principe al di sopra delle loro teste. «Devo confessare, mio signore, che il mio abito da ballo era stato preso in prestito e che non posseggo un abito da sposa. Ma almeno ho le scarpe da indossare al mio matrimonio.» E tirando fuori da un vecchio sacchetto la seconda scarpetta di cristallo, calzò anche quella. Berta diventò tutta rossa, Gertrude fece un rigido inchino, la matrigna ebbe solo la forza di lanciare uno strilletto… prima di svenire. Il Principe donò alla fanciulla un abito da sposa di raso bianco come la neve e un velo che sembrava una nuvola. Le sorellastre e la matrigna si comprarono dei vestiti nuovi per il matrimonio e finsero di non ricordare più il tempo in cui la chiamavano “Cenerentola” e la obbligavano a strusciare i pavimenti.

Immagini collegate: