Raperonzolo

I Raccontastorie – Fascicolo 5

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      04 - Raperonzolo
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Tanto, tanto tempo fa, in una terra solitaria e infida, vivevano un buon uomo e sua moglie. Desideravano ardentemente di avere un figlio, e lo aspettavano pazienti, un anno dopo l’altro. E, un bel giorno, la donna seppe che avrebbe avuto un bambino. Questa coppia viveva accanto a un bellissimo giardino, circondato da un alto muro. Il giardino apparteneva a una strega crudele e nessuno aveva mai osato avvicinarsi per timore di qualche maledizione. Una finestrina, situata sul retro della casa della coppia, guardava proprio su quel giardino e la donna spesso si affacciava ad ammirare le meraviglie che la strega coltivava; fiori, alberi ed erbe daí magici poteri. Un giorno, la donna si ammalò.

Dovette stare a letto e perse l’appetito. Il marito le portava sempre buone cose, ma lei non le assaggiava nemmeno. «Ti prego», insisteva lui, «dimmi cosa ti posso portare. Ci deve pur essere qualcosa che ti faccia bene.» «Portami le cime dei raperonzoli che crescono nel giardino della strega», sussurrò lei. «So che mi faranno bene.» Il marito era spaventatissimo, ma avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di aiutarla. «La vecchia strega non mi farà del male» diceva per farsi coraggio. Attese il calare della notte e poi scavalcò il muro di cinta del giardino della strega. Col cuore che gli batteva, si guardò attorno. Non c’era nessuno. Trovò i raperonzoli, tagliò qualche cimetta e corse a casa.

La moglie si sentì molto meglio non appena ebbe mangiato l’erba. Ma il giorno dopo, ne desiderò ancora. «Ti prego», implorò il marito, «se non mi porti dell’altro raperonzolo, morirò.» E così, a notte fonda il marito scalò nuovamente il muro del giardino della strega. Stava giusto cogliendo l’erba, quando apparve la strega. «Ladro!» gracchiò. «La maledizione ti colga! Come osi entrare nel mio giardino a rubare le mie piante!» «Oh, ti prego!» implorò l’uomo. «Mia moglie è molto malata e morirà se non le porto un po’ di quest’erba.» «Bene bene, puoi prendere l’erba»

sbottò la strega, «ma ad una condizione. Come pagamento del raperonzolo, mi darai il tuo primo figlio nato.» Il marito era così disperato che acconsentì e tornò di corsa da sua moglie. Pochi mesi dopo, la coppia ebbe una figlia. E il giorno stesso della sua nascita apparve la strega. La coppia la pregò di non essere così crudele, ma la strega non li ascoltava nemmeno. «Chiamerò la bambina Raperonzolo», rise sfacciatamente. Avvolse la neonata nel suo mantello e la portò via. Raperonzolo crebbe e divenne una bambina molto bella. I suoi occhi erano del colore delle violette e aveva lunghissimi capelli, sottili come l’oro filato, che avvolgeva in una treccia pesante. Quando Raperonzolo ebbe dodici anni, la strega la portò in una foresta profonda e la rinchiuse in un’alta torre. Non c’erano né porte né scale, solo una finestrella nella camera più in alto.


Raperonzolo, così segregata, venne dimenticata da tutti. L’unica persona che vedeva era la strega che le portava il cibo ogni giorno. Si fermava ai piedi della torre e chiamava «Raperonzolo, Raperonzolo, butta giù la tua treccia!» E Raperonzolo snodava la treccia

e la buttava giù alla strega, che ci si arrampicava come se fosse una corda. Un giorno un principe, mentre cavalcava nella foresta, perse la strada e arrivato sotto la torre di Raperonzolo, la sentì cantare, come faceva spesso per tenersi compagnia.


Il principe, che non aveva mai udito una voce così pura e così dolce, fermò il cavallo e rimase immobile ad ascoltare. Cercò con gli occhi la porta della torre, ma non trovandone alcuna, galoppò via. Ma il giorno dopo ritornò, e poi ogni giorno ancora. Era rimasto affascinato dal canto e determinato a scoprire chi cantava. Un giorno, mentre il principe stava ascoltando, arrivò la strega. Egli si nascose dietro un albero a guardare cosa succedeva. «Raperonzolo, Raperonzolo, butta giù la tua treccia», intimò la strega. Ed ecco dall’alta finestra della torre apparire una bionda treccia e la strega lesta arrampicarvisi sopra e sparire dentro la torre. «Allora è così che devo fare per poter vedere la cantatrice», pensò il Principe. Quella sera egli ritornò alla torre.

«Raperonzolo, Raperonzolo, butta giù la tua treccia!» gridò. Ci fu un fruscìo soave e la treccia dorata venne giù lungo il muro, fino a lui. Il principe si arrampicò lesto lesto e scavalcò la finestrella entrando nella torre. Raperonzolo non aveva mai visto un uomo prima di allora. Si spaventò e indietreggiò. «Chi siete?» ansimò. «Non temere», disse dolcemente il principe che si era innamorato di lei a prima vista, prendendole le mani. «Dovevo scoprire chi cantava così soavemente.» E le raccontò come fosse venuto ad ascoltarla ogni giorno. Piano piano a Raperonzolo passò la paura. «Sposami e lascia questa orribile prigione», la pregò. Il principe era giovane e bello e piacque subito a Raperonzolo. «Verrei volentieri con te» disse, «ma come farò per uscire dalla torre?

Tu puoi scendere lungo i miei capelli, ma io?…» Pensò un momento e poi aggiunse «Vieni a trovarmi ogni sera e ogni volta portami un mazzo di fili di seta. Li intreccerò e farò una grossa corda. Quando sarà finita, potremo scendere entrambi e fuggire insieme,» E così il principe andò ogni sera a trovare Raperonzolo. E ogni giorno essa intrecciava i fili che lui le portava. La strega non si accorse di nulla, ma Raperonzolo era così innamorata che non riusciva a pensare ad altro che al principe. Fu così che un giorno, dopo che la strega si era arrampicata dentro la torre, Raperonzolo disse: «Lo sai che tu sei molto più pesante da tirar su che il principe?» «Ragazza malvagia!» strillò la strega. «Pensavo di averti imprigionato a dovere. Ma invece mi hai ingannata!» Prese un enorme paio di forbici e afferrò i capelli di Raperonzolo.

Le forbici lampeggiarono e recisero la treccia che cadde a terra in un rotolo dorato. «Ora, signorina ingrata, vedremo come te la caverai senza di me!» strillò la strega. Volò insieme a Raperonzolo fino a una vallata solitaria e l’abbandonò lì, sola e infelice.

Poi più tardi, al cader della notte, la strega tornò alla torre per aspettare il principe. Dopo un po’ lo udì chiamare: «Raperonzolo, Raperonzolo, getta giù la tua treccia.» Allora legò la treccia di Raperonzolo a una pesante sedia sotto la finestra e gettò i biondi capelli al principe, che si arrampicò velocemente. Ma quando giunse in cima, fu la vecchia strega e non Raperonzolo a salutarlo’ dalla finestra. «Se ne è andata! La ragazza se ne è andata», gracchiò la strega «Il tuo uccellino cantore è volato via e non lo rivedrai

mai più!» E così dicendo spinse il principe giù dalla torre. Egli cadde in mezzo ai rovi le cui spine lo accecarono e non poté far altro che fuggire via barcollando.

Il principe vagò e vagò, cieco e triste, attraverso foreste e montagne. Cercava Raperonzolo, ma cosa mai poteva fare un uomo cieco? Chiese di lei, ma nessuno aveva visto una bella giovane dagli occhi viola e dai corti capelli biondi. Poi, un giorno, capitò in una vallata. Era un luogo solitario, ma egli udì qualcuno cantare. «Questa voce la conosco» gridò. «È il mio amore! È Raperonzolo!» Seguì il suono della voce e là, in fondo alla valle, dopo tante peripezie, la ritrovò. Il principe era magro e stracciato,

ma Raperonzolo lo riconobbe immediatamente. Lo strinse fra le braccia e pianse di gioia. Le sue lacrime calde caddero sugli occhi del suo amato e in pochi secondi egli riacquistò la vista e subito portò Raperonzolo nel suo regno e la sposò. Il matrimonio fu così felice che la notizia si sparse nel mondo. E quando il padre e la madre di Raperonzolo sentirono parlare della bella principessa Raperonzolo, capirono che era la loro figliola, che stava bene ed era felice. E furono soddisfatti e orgogliosi anche loro.