L’ultima fetta di arcobaleno

I Raccontastorie – Fascicolo 2

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      04 - L'ultima fetta di arcobaleno
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Ogni giorno Gianni tornava a casa da scuola per un sentiero che costeggiava una vallata erbosa dove cresceva-no le campanule e brucavano le pecore. Per tenersi compagnia, fischiettava sempre. A scuola Gianni era il più bravo a fischiettare e ricordava ogni tono e ogni suono di ogni ritornello, perché era nato in un mulino a vento proprio quando il vento stava girando da est a ovest. Lui poteva vedere il vento quando soffiava, e come sapete non è da tutti. Un giorno, Gianni stava tornando a casa lungo il sentiero erboso, quando sentì la voce del Vento dell’Est sospirare: «Uh uh, aiutami tu, uh povero me, ho scordato com’è.» «Che cosa hai dimenticato, Vento?» chiese Gianni girandosi per guardare il vento che era tutto ondeggiante, marrone e blu con degli spruzzi dorati. «Il mio ritornello! Il mio ritornello favorito!» «Quale? Quello che fa così?» chiese Gianni, e lo fischiettò. Il Vento era contentissimo. «Sì, sì, proprio quello! Bravo Gianni!» E lo avvolse nei suoi soffi, scherzando gentil-

mente con lui, scompigliandogli il colletto e arruffandogli i capelli. «Ti farò un regalo» cantò sul ritornello che Gianni gli aveva fischiato. «Co-sa sarà quel portento? Un lucchetto d’oro o una chiave d’argento?» Gianni, che non avrebbe saputo co-sa farsene di un regalo simile, disse subito: «Per piacere, la cosa che mi piacerebbe di più al mondo è un arcobaleno tutto per me.» Gianni li vedeva spesso gli arcobaleni nella vallata erbosa, ma non duravano mai abbastanza.

«Un arcobaleno tutto per te? Questa sì che è una cosa difficile». disse il Vento. -Molto. molto difficile. Devi prendere un secchio e attraversare i campi fino ad arrivare alla Cascata del Pavone. Riempi il secchio di spruzzi. Ci vorrà molto tempo. ma quando sarai riuscito a riempirlo può darsi che dentro tu ci trovi qualcosa che ti procurerà l’arcobaleno.» Per fortuna il giorno seguente era sabato. Gianni prese il secchio, la sua colazione e si avviò attraverso i campi fino alla cascata chiamata del Pavone, perché l’acqua cadendo con forza dalla collina formava una nuvola di spruzzi colorati e scintillanti come la coda di un pavone. Gianni rimase tutto il giorno vicino alla cascata bagnato fradicio, cercando di riempire il secchio con gli spruzzi. Al-la fine. proprio verso il tramonto, il suo secchio fu colmo fino all’orlo. E allora, guardandoci dentro vide che qualcosa nuotava velocemente in tondo, e scintillava con i colori dell’arcobaleno. Era un pesciolino. «Chi sei?» chiese Gianni.

«Sono il Genio della cascata. Liberami e per dimostrarti la mia riconoscenza ti farò un bel regalo!» «Stai tranquillo. Ti libererò, ma per piacere, puoi regalarmi un arcobaleno, un piccolo arcobaleno tutto per me, da tenere in tasca?» «Hm!» disse il Genio. «Io te lo darò, ma non è facile conservare un arcobaleno. Non credo che riuscirai a portartelo fino a casa. Ma rimani lì e vedremo.» E il Genio saltò fuori dal secchio formando col suo balzo un’ampia curva e mentre lui scompariva nella cascata, un arcobaleno ne uscì e andò a finire nel secchio di Gianni, «Oh, che bellezza!»; Gianni prese delicatamente l’arcobaleno in mano. Poi lo arrotolò con cura come una sciarpa, se lo mise in tasca e iniziò il ritorno a casa.


Doveva traversare un bosco, e quando fu proprio nel folto degli alberi sentì un pianto sconsolato. Andò a vedere di cosa si trattava e vide che un tasso era rimasto prigioniero in una trappola. «Mio caro ragazzo», si lamentò il tasso. «Liberami prima che gli uomini arrivino con i loro cani e mi uccidano.» «Lo farei molto volentieri, ma ci vuole una chiave per aprire la trappola.» «Prova con la punta di quell’arcobaleno che vedo spuntare dalla tua tasca. Vedrai che la trappola si aprirà.» Infatti, appena Gianni introdusse la punta dell’arcobaleno fra i denti della trappola, essi si aprirono e il tasso saltò fuori. «Grazie, grazie», ansimò e sparì. nella sua tana.

Gianni arrotolò di nuovo l’arcobaleno e lo ripose in tasca. Ma un grosso pezzo di arcobaleno era stato strappato dai denti affilati della trappola e volò via. Proprio all’uscita del bosco, c’era una casetta dove viveva la vecchia signora Gegia. Era una signora un po’ bisbetica. Se per caso cadeva nel suo giardino qualche palla, invece di restituirla ai bambini, lei la cuoceva in forno fino a farla diventare tutta nera come il carbone. Tutto quello che mangiava era nero — pane arrostito nero, olive nere, tè nero —. Quando vide Gianni lo chiamò: «Ragazzo, mi daresti un pezzetto di quell’arcobaleno che spunta dalla tua tasca? Sono molto malata e il dottore ha detto che se mangerò un dolce di arco-baleno migliorerò.» Gianni non aveva nessuna voglia di dare un pezzo del suo arcobaleno alla signora Gegia, ma gli fece pena e contro-voglia entrò in cucina. Lei afferrò un coltello da cucina e, zac, tagliò una grossa fetta di arcobaleno.

Poi fece una pastella con farina e latte, vi mescolò l’arcobaleno e lo mise a cuocere. Quando il budino fu freddo, lo tagliò a fette e lo mangiò spalmato di burro e zucchero. Ne offrì una fettina anche a Gianni. «È la cosa più buona che ho mangia-to da tanto tempo» disse la signora Ge-gia. «Mi sono stufata di mangiare pane nero. Sento già che questo dolce mi sta facendo bene alla salute.» Infatti aveva un aspetto migliore di prima. Le guance erano rosa e l’espressione del viso quasi sorridente. Gianni, dopo avere mangiato la fetta di budino, era cresciuto di tre centimetri. «Sarà meglio che tu non ne mangi più» gli disse la signora. Gianni si mise in tasca l’ultimo pezzo di arcobaleno. Ormai ne era rimasto poco. Mentre stava arrivando al mulino dove abitava, sua sorella Tilli gli corse incontro, ma inciampò in un sasso e cadde.


Una gamba le sanguinava e Tilli cominciò a piangere. «Ahi, ahi, ahi, la mia gamba mi fa male! Ti prego Gianni, fasciamela!» E beh, che poteva fare? Gianni tirò fuori dalla tasca quello che restava dell’arcobaleno e fasciò la gamba di Tilli. Era appena sufficiente. A Gianni ne rimase solo un piccolo brandello. Tilli affascinata dalla sua fasciatura colorata corse via gridando «Che bellezza! E non sanguina nemmeno più!» E così Gianni rimase solo a guardare piuttosto tristemente il suo pezzettino di arcobaleno stretto fra il pollice e l’indice. Sentì un bisbiglio all’orecchio, si voltò e vide il Vento dell’Est tutto scherzoso e colorato di giallo, marrone e rosa. «Allora?» disse il Vento dell’Est. «Te l’aveva detto anche il Genio della cascata che era difficile conservare un arcobaleno! Ma anche senza arcobaleno tu sei un ragazzo fortunato lo stesso. Puoi sentire la mia canzone e sei cresciuto tre centimetri in un giorno.»

«È vero», rispose Gianni. «Apri la mano» disse il Vento. Gianni sporse la mano nella quale teneva il pezzettino di arcobaleno e il vento cominciò a soffiarci sopra come quando si vuole accendere il fuoco nel caminetto. Mentre soffiava, il pezzetto di arcobaleno cominciò a crescere e a crescere alzandosi e arcuandosi fino a traversare tutto il cielo: il più brillante e grande arcobaleno che Gianni avesse mai visto. Gli uccellini furono così stupiti al-la vista di una simile meraviglia che dimenticarono di muovere le ali e finirono per cadere e per sbattere gli uni contro gli altri in mezzo al cielo. Poi l’arcobaleno si sciolse e svanì. «Domani ci sarà un altro arcobaleno. E se non sarà domani sarà la prossima settimana.» «E io sono riuscito anche a tenerlo in tasca» disse Gianni. E andò a casa a far merenda.


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