Il buon Re Venceslao

Il buon Re Venceslao

I Raccontastorie – Le più belle storie di Natale 1984

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      06 Il buon re Venceslao
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Era la mezzanotte di una vigilia di Natale e Venceslao, come al solito, era indaffarato a incartare regali per tutta la gente del Castello. C’erano delle calze di seta e dei pattini d’argento per la sua cara Regina, un complicato giuoco a incastro per il suo paggio Alberto, temperini, noci e marzapane per i lacche e porcellane e borotalco per i cuochi e i loro aiutanti. E inoltre ciascuno avrebbe ricevuto un mandarino.

Quando finalmente giunse alla fine, il Re ebbe appena il tempo di andare in punta di piedi in ogni stanza ad attaccare una calza ad ogni letto, prima che tutto il Castello si risvegliasse. Poi Venceslao crollò nel letto, mentre la Regina, il paggio, i lacché, i cuochi e i sottocuochi aprivano e i pacchetti, seminavano – spago e carta da regalo dappertutto, provavano calze, masticavano marzapane e ammiravano le porcellane. In cucina c’era un baccano assordante, si batteva

e si tagliava, si grattugiava e si farciva, si preparavano spinaci, patate arrosto, torte, budini caramellati, gelatina di fichi, pasticci di selvaggina, tacchini e pesci-spada. Il paggio Alberto, che quando il Re dormiva non aveva molto da fare, si dava un gran daffare ad assaggiare tutti i piatti e a sospirare per il pranzo di Natale. Intanto Venceslao, esausto dopo la notte di lavoro, russava a più non posso. La Regina entrò in camera sua, lo baciò e gli donò un paio di pantofole ricamate le sue iniziali

Il re bofonchiò: «Bellissime, cara» e si riaddormentò. Alberto, esausto per il lavoro in cucina, entrò per dargli un pesciolino dorato che aveva vinto alla fiera. Venceslao mormorò: «Delizioso, ragazzo mio» e continuò,„ a dormire. E continuò a dormire anche quando la Regina, il paggio, la Corte e gli ospiti che erano venuti da tutte le parti, mangiarono il sontuoso pranzo di Natale. I bicchieri venivano riempiti uno dopo l’altro, i petardi esplodevano e i palloncini scoppiavano. Poi l’orchestra di Corte diede il via

e cominciarono i divertimenti. Sei importanti ospiti venuti dall’Italia si esibirono in una piramide umana, il Re di Francia, – chi lo avrebbe immaginato? – ballò il tango con il suo orsacchiotto preferito, e un Druido del Galles recitò un lungo poema. Ma piano piano tutti i stancarono e i canti, le risate e le grida eccitate si calmarono. Rimasero tutti quietamente seduti sui loro scranni alla luce languente delle candele. Venceslao, intanto, si era svegliato fresco e pieno di energie. Si stiracchiò, saltò giù dal letto e infilò le sue nuove pantofole. Spalancò la finestra e si sporse fuori respirando con piacere l’aria gelida.

Sotto le mura del castello vide un vecchio che stava raccogliendo legna. “Ma chi sarà quell’uomo che a quest’ ora e in questa notte se ne sta li tutto solo?” pensò Venceslao e andò a cercare il paggio Alberto il quale, in compagnia della Regina e degli altri ospiti, sonnecchiava pacificamente nel salone da pranzo. Venceslao scosse gentilmente il paggio: «Svegliati ragazzo, ho bisogno del tuo aiuto,» sussurrò. Alberto si strofinò gli occhi sbadigliando e protestando: «Oh, Sire, ho mangiato troppo». «Vieni ragazzo, abbiamo un lavoro da fare, ma prima dimmi, non sai chi potrebbe essere il vecchio che ho visto or ora raccogliere legna fuori dal castello?» «Oh, sì, Sire, è un vecchio che vive molte miglia lontano da qui, alle falde di una montagna. Viene spesso da queste parti a prendere della legna.»

«Hmm. Beh, ora corri e portami più ciocchi di pino che puoi.» Alberto sparì e Venceslao fece il giro della tavola riempiendo un cesto con pezzi di carne e caraffe di vino. Quando il paggio tornò, curvo sotto il peso di una pila di ciocchi, Venceslao disse: «Ora vai a metterti il tuo mantello più pesante; andiamo a far visita al nostro amico ai piedi della montagna». «Ma Sire, fuori si gela!» Venceslao aggrottò la fronte e lo zitti. «Ricordati che non tutti hanno avuto la fortuna di un Natale ricco come il tuo.» Uscirono e arrancarono nella neve. Venceslao portava i ciocchi e Alberto lo seguiva con il cesto delle provviste. Deposero tutto davanti alla porta dell’uomo. «Ecco,» disse Venceslao, «ora avrà anche lui il suo pranzo di Natale.» Poi ripresero la strada del castello, il Re davanti e il paggio dietro.

Mentre camminava, Alberto notò una cosa stranissima — non capiva bene se fosse a causa di tutto il vino che aveva bevuto e del cibo che aveva mangiato — ma mentre seguiva le orme del suo padrone sentiva tutto il corpo irraggiato di calore come se fosse un giorno d’estate. «Se lo raccontassi non mi crederebbero. No, probabilmente riderebbero di me. Non lo racconterò a nessuno.» E così si strinse contento nel suo mantello mentre arrivavano in vista delle luci del castello.

Venceslao il buon re, Nella notte santa, Guardò e vide attorno a sé Neve alta e bianca. Con la luna che lassù Tutto illuminava Vide un povero quaggiù Che legna cercava.

“Corri paggio vieni qua Dimmi chi è quell’uomo, Come vive, dove sta, Dimmi s’egli è buono.” “A una lega e più da qui Presso la foresta, Sotto il monte, lui sta lì, E vive vita onesta.”

“Noi lo andremo a visitar, Prendi cibo e vino, Porteremo da mangiar E legna di pino.” Ed il re s’incamminò Insieme al suo paggio. Il maltempo lui sfidò E il vento selvaggio.

“Sire, non ne posso più: Troppo è il gelo e il vento. Arrivare fin laggiù? No, non me la sento.” “Se i miei passi seguirai, Con fede e con coraggio, Meno freddo sentirai: Stammi dietro, paggio.”

Dietro al re lui camminò, Ne seguì le impronte. E del caldo che provò Santa era la fonte. Tu sia ricco o misero, Dal cielo ci è dato Che chi aiuta il povero Poi sarà aiutato.

 

 

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