Sindbad e la valle dei diamanti

I Raccontastorie – Fascicolo 2

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      07 - Simbad e la valle dei diamanti
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Mi chiamo Sindbad. Avrete sicura-sentito parlare di me. In-fatti io sono il mercante più ricco e più famoso di tutta Bagdad. Ma non sono stato sempre così ricco. Mi ci sono voluti sette lunghi viaggi per mare per diventare l’uomo importante che sono oggi. Magari ora vi racconto quello che è stato il viaggio più straordinario di tutti… Dopo aver fatto scalo in diversi porti comprando e vendendo merce, la mia nave arrivò a una splendida isola. Là trovammo alberi carichi di frutti, ruscelli di acqua cristallina, bellissimi fiori e uccellini cinguettanti. Ma non c’ erano persone.

Decisi così di esplorare quel bel posto e me ne andai da solo verso le colline. Quando mi sentii stanco, mi sdraiai su un pendio erboso e mi addormentai. Ma, al mio risveglio, vidi con terrore che la mia nave se n’era andata. Aguzzai disperatamente la vista e vidi le sue vele come bianchi puntini all’orizzonte. Solo e spaventato, decisi di arrampicarmi sul-la cima di un’alta collina, nella speranza di imbattermi in un villaggio. Ma non c’era nulla. Nulla, proprio nulla, eccetto una strana forma bianca alla quale mi avvicinai. Era come una cupola gigantesca, tanto che per fare il giro tutt’intorno dovetti camminare cinquanta passi.

Non c’era nessuna apertura. La toccai delicatamente e sentii sotto le dita la sua superficie liscia. Ad un tratto, il cielo si oscurò e l’aria si agitò intorno a me. Guardai in su e vidi un mostruoso uccello nero che si stava calando su di me. Le sue ali immense erano spalancate quando si posò sulla cupola bianca. Capii subito dalle sue dimensioni che si trattava del gigante Roc e che la cupola non era altro che il suo enorme uovo. Avevo sentito raccontare molte sto-rie su questo uccello fantastico, ma non ci avevo mai creduto. E ora mi trovavo mezzo soffocato, proprio sotto la sua enorme pancia. Dopo un po’, l’enorme uccello si

addormentò. Cominciai ad escogitare un piano per scappare da quell’isola. Srotolai il mio turbante e lo attorcigliai tutt’intorno a una corda grezza. Legai un’estremità intorno a una zampa dell’uccello, che misurava come il tronco di un albero e l’altra intorno alla mia vita. Non dormii tutta la notte. Niente si muoveva intorno. Ma alle prime luci del mattino, quel-la creatura colossale si slanciò in aria con uno stridio assordante, trascinando-mi con sé. Volava e volava sempre più in alto nel cielo finché cominciò a scendere, prima velocemente e poi sempre più piano, fino a posarsi sul fondo di una profonda vallata.


Mi ero appena tolto la corda che mi teneva legato all’uccello quando questi si alzò nuovamente in volo, portando nel becco un serpente nero. La vallata polverosa era circondata da tutte le parti da montagne scoscese e non avevo la minima speranza di poterle scalare. Stavo meglio prima sull’isola deserta dove almeno c’era frutta da man-giare e acqua da bere. Tutta la valle era bagnata da una dolce luce scintillante. Era la luce dell’alba che si rifletteva su milioni di diamanti sparsi tutt’intorno sul terreno. Dovunque girassi lo sguardo c’erano gemme così grosse da farmi rimanere senza fiato. Mai, mai prima d’allora, nemmeno nelle case più eleganti di Bagdad, avevo visto tante ricchezze. Ma, tutt’in-torno a queste pietre preziose, strisciava una moltitudine di serpenti velenosissimi, alcuni dei quali erano così grossi che avrebbero potuto facilmente mangiarmi in un boccone. Capii allora che io, Sindbad, ero capitato nella famosa Valle dei Diamanti, dalla quale mai nessun uomo era uscito vivo. Ero terrorizzato, ma quando sorse il sole, quelle creature malefiche scivolarono via lentamente dentro i loro buchi neri.

Vagai tutto il giorno per quella valle, cercando una sorgente d’acqua e un po-sto in cui dormire la notte. Alla fine trovai una piccola grotta all’inizio di un pendio. Dopo essermi assicurato che dentro non ci fosse nessun pericolo, entrai e bloccai l’ingresso con un grosso masso, lasciando appena uno spiraglio per far passare la luce. Stetti là tutta la notte, tremando di paura quando sentivo i serpenti e le vipere sibilare vicino al-l’apertura della grotta tentando di infilare dentro la loro lingua biforcuta. All’alba, finalmente, se ne tornarono nei loro rifugi. Ero stanco e affamato quando spostai la pietra e uscii di nuovo nella vallata soleggiata. Avevo camminato appena pochi passi quando qualcosa rotolò vicino a me dalla scarpata della collina. Era il corpo di una pecora. Poi ancora due o tre rotolarono giù. Venivano gettate giù dai cacciatori di diamanti i quali speravano così che alcune gemme rimanessero impigliate nel vello delle pecore. Dopo la loro caduta, aquile gigantesche si slanciavano sulle pecore e se le portavano via nelle grinfie fino ai loro nidi sulle montagne.

I cacciatori, quindi, spaventavano le aquile facendole fuggire e raccoglievano i diamanti. Allora mi venne una brillante idea. Prima di tutto riempii le mie tasche con tutti i diamanti che potevano contenere. Poi, scelsi la pecora più grossa, srotolai di nuovo il mio turbante e mi legai all’animale. Ed ecco che, ad un tratto, mi sentii sollevare in aria, acchiappato dagli artigli affilati di un’aquila. In alto, sempre più in alto, fino a che l’aquila si posò su una ripida roccia e cominciò ad affondare il suo rostro affilato nella pecora, avvicinandosi sempre più al mio viso. Ma ad un tratto l’aquila volò via, spaventata da un gruppo di uomini che gridavano e lanciavano pietre. Mi liberai rapidamente e mi alzai in piedi. «Ho più diamanti io di quanti voi ne abbiate mai visti o desiderati!» gridai, «e li ho presi tutti da solo!» Mostrai loro le mie tasche rigonfie e raccontai la mia straordinaria storia. Mi portarono alla tenda del loro capo, mi rifocillarono e finalmente potei fare un bagno. Offrii a quell’ospite genti-le tutti i diamanti che voleva, ma ne prese solo alcuni. «Questi bastano», mi disse. «Tieni per te gli altri, amico mio. Te li sei guadagnati»

E così, me ne andai fino alla città più vicina dove vendetti tutte le pietre meno una, per una grande somma di denaro. Poi mi comprai una flotta di navi cariche di ricche merci da vendere qui a Bagdad. E questa splendida gemma che vedi scintillare sul mio turbante, l’ho conservata in ricordo del mio viaggio.

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