L’albero delle scarpe

I Raccontastorie – Fascicolo 1

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      L'albero delle scarpe
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Gigi e Marina si divertivano a guardare il loro babbo che stava zappando il giardino. Era un lavoraccio faticoso e il babbo dopo che aveva affondato la vanga diverse volte si fermò per asciugarsi il sudore. «Guarda, guarda, papà ha tirato fuori una vecchia scarpa» disse Marina. «Che cosa ne farai babbo?» chiese Gigi. «La sotterrerò proprio qui» rispose il signor Martino. «La mia nonna raccontava che se si pianta una scarpa vecchia sotto una pianta di rabarbaro crescerà molto meglio.» Marina ridacchiò. «Cos’è che crescerà, la scarpa?» «Beh, se cresce vorrà dire che per cena mangeremo scarpe stufate.»

E la piantò. a primavera avanzata, ci fu un gran temporale che rovinò la pianta di rabarbaro e, quando il signor Martino andò a raccogliere i rametti spezzati, vide che nell’aiuola stava crescendo una piantina nuova. Non la strappò perché prima voleva vedere di cosa si trattava. «Non ho mai visto una cosa simile» disse Gigi a Marina. Era proprio una pianta curiosa che ben presto estese le sue radici dove prima c’erano quelle del rabarbaro. Cresceva benissimo e la primavera seguente era grande come un alberello. In autunno cominciò a metter fuori dei frutti un po’ verdastri e un po’ biancastri dalla forma tutta bitorzoluta. «Quella frutta mi fa venire in mente qualcosa» disse il signor Martino. E tutto a un tratto si batté la mano sulla fronte: «Ecco cosa mi fa venire in mente: delle scarpe, sì, proprio delle scarpe attaccate al ramo!» «Davvero, sembrano proprio delle scarpe» disse Gigi stupefatto toccando i frutti. «Avete detto scarpe?» intervenne la signora Trippoloni, una loro vicina, sporgendosi oltre la siepe. «Sì, proprio così, il nostro albero fa le scarpe!» «Proprio quello che ci vuole per il mio Robertino che ormai è abbastanza grande da poterle portare» disse la signora Trippoloni. «Posso venire a dare un’occhiata?» «Ma certamente, venga a vedere.»


La signora Trippoloni andò sotto l’albero con il piccino in braccio e gli alzò un piedino per vedere se entrava nel frutto. «No, ancora non entra» disse Gigi, «torni domani, signora Trippoloni.» La signora tornò il giorno seguente ma i frutti erano ancora troppo piccoli. Passò una settimana e i frutti cominciarono a maturare e a prendere un bel colorino lucido, marrone dorato, e finalmente un giorno il piede di Robertino poté entrarci comodamente. Il signor Martino, allora, comunicò a tutti quanti che chi voleva un paio di scarpine per il suo bambino poteva venire a coglierle dall’albero. La voce si sparse nel villaggio e, il giorno dopo, c’era una gran folla di mamme con i loro bambini al cancello del giardino per vedere lo stupefacente albero delle scarpe. Una volta entrate, alzavano i bambini fino ai rami per provare
se i piedini potevano entrare nei frutti. Quelle mamme arrivate dopo, si sedevano sull’erba con i loro bambini mentre Gigi e Marina andavano e venivano portando paia di frutti da provare fino a che ogni bambino ebbe le sue scarpe e tutti i frutti furono esauriti. Alla fine della giornata l’albero era completamente spoglio. Una delle mamme, la signora Bianchi che aveva tre gemelli, si affrettò appena tornata a casa a mostrare le scarpine a suo marito. «Guarda, le ho colte dall’albero del signor Martino, me le ha date gratis; vedi la pelle è dura come il cuoio, ma dentro sono soffici. Proprio quello che ci vuole per i piedini dei nostri bambini; non sono una meraviglia?» Il signor Bianchi fissò a lungo i piedi dei suoi bambini e poi disse: «Togli loro le scarpe, mi è venuta un’idea!»
Fu così che, dopo qualche anno, davanti alla casa del signor Bianchi apparve un cartello:

Produzione nostrana di scarpe.

«Ecco perché faceva tanto mistero di quel campetto dietro casa sua» disse il signor Martino ai suoi familiari.

«Ora capisco tutto. Le scarpe che noi gli abbiamo regalato per i suoi bambini lui le ha piantate e ora quella vecchia volpe ha dozzine di alberi di scarpe.»

Pareva proprio che il signor Bianchi avrebbe fatto un sacco di soldi. Quell’autunno assunse tre donne per cogliere i frutti e per assortirli in paia d differenti misure. Poi le scarpe venivano avvolte in carta velina, impacchettate in scatole e spedite in città dove venivano vendute a ventimila lire il paio.

Il signor Martino affacciandosi alla finestra una mattina, vide il signor Bianchi uscire dal garage con una macchina nuova fiammante.

«Io non ho mai pensato di sfruttare il mio albero delle scarpe per fare soldi» disse alla moglie.

«Eh, caro, tu non sei mai stato un gran commerciante» rispose lei gentilmente, «comunque io sono contenta che tutti i bambini del villaggio abbiano potuto avere le scarpe gratis.»

Un giorno Gigi e Marina stavano camminando nei campi vicino al frutteto del signor Bianchi che era cintato da un alto muro, perché la gente non potesse guardare dentro.


Dall’alto del muro apparve Riccardo, un loro amico. Con un salto ò dalla loro parte e si avvicinò due fratelli.

«Ciao Riccardo, che ci fai nell’orto dei Bianchi?»

Il ragazzo strizzò l’occhio: «Vedrete.»

E corse tutto intorno nell’erba raccogliendo frutti-scarpa fino ad averne le braccia piene.

«Sono tutti frutti caduti a terra dagli alberi di scarpe dei Bianchi: li porterò alla mia nonna e lei mi preparerà un’altra torta di frutti-scarpa.»

«Una torta?» chiese Marina. «Non ho mai immaginato che si potesse mangiarli; che sapore hanno?»

«Beh, la buccia è troppo dura, ma l’interno del frutto, cotto con parecchio zucchero, è buonissimo. La mia nonna ne fa degli ottimi dolci, a provarne un pezzo.»

Gigi e Marina aiutarono Riccardo a portare i frutti a casa della nonna e mangiarono un bel pezzo di torta. Il gusto era davvero squisito, più aromatico delle mele e con un non so che di esotico. A Gigi e Marina piacque molto e quando tornarono a casa andarono in giardino a cogliere frutti-scarpa per cuocerli.

Li misero in pentola con il miele e l’uva sultanina.

Anche il signor Martino e sua moglie dissero che erano squisiti. Dopo aver finito il suo piatto il babbo cominciò a ridacchiare.

«Ehi, mi è venuta un’idea meravigliosa!»

Il giorno seguente riempì il bagagliaio della sua vecchia macchina di scatoloni pieni di frutti-scarpa, andò al mercato della città vicina e parlò a lungo con un fruttivendolo. Dopo un po’ davanti alla bottega spiccava un cartello con questa scritta: Frutti dell’albero delle scarpe a cinquecento lire il chilo.

Una gran folla si radunò davanti al negozio.

«Ma guarda un po’» dicevano, «io ho pagato ventimila lire per due di questi frutti-scarpa per il mio bambino e qui li vendono a cinquecento lire il chilo!»

Intanto il fruttivendolo strillava a gran voce: «Solo cinquecento lire il chilo, gettate la buccia e gustate il saporito frutto! Squisiti per fare le torte, ottimi al forno, deliziosi crudi!»

«lo di sicuro non tornerò più in quel negozio di frutti-scarpa a pagarli ventimila il paio» diceva un’altra donna.

Insomma, una gran confusione.

Il fruttivendolo era il più felice: il suo portafogli era gonfio di quattrini.

Il mattino seguente, quando il signor Martino tornò in città, passò davanti al negozio di scarpe e vide che sotto al cartello che recava la scritta: Scarpe nostrane che crescono con i vostri ragazzi, ce n’era un altro con scritto: Ribassi straordinari! Un paio di scarpe per cinquecento lire!

E così furono tutti contenti: la gente del villaggio continuò a ricevere da Martino le scarpe gratis, e quelli della città le pagavano solamente cinquecento lire il paio. E tutti potevano mangiare i frutti, se lo desideravano. L’unico a non essere contento era il signor Bianchi, che guadagnava molto meno di prima.

«Credi che abbia agito male verso il signor Bianchi?» chiese Martino a sua moglie.

«Credo proprio di no. Dopo tutto la frutta è fatta per essere mangiata, no?»

«E poi», disse Marina «non era questo che ci dicesti quando piantasti quella vecchia scarpa? Ci avevi promesso scarpe stufate per cena…!»

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